07.12.2021

Discorso del Consigliere federale Ignazio Cassis, capo del Dipartimento federale degli affari esteri - fa fede la parola pronunciata

Oratore: Cassis Ignazio

Signor presidente di Helvetia Latina (Laurent Wehrli),
Stimati vicepresidenti (Laurence Fehlmann Rielle, Marco Chiesa),
Signora presidente onoraria e signor presidente dell’Alliance Française de Berne (Mania Hahnloser, Bernard Steck),
Stimati parlamentari ed ex parlamentari,
Stimata delegata al plurilinguismo (Nicoletta Mariolini),
Eccellenze ambasciatrici e ambasciatori ,
Gentili membri dell’Amministrazione federale,
Gentili signore, egregi signori,

La passione della pluralità

Ritrovarmi qui con voi stasera significa per me sentirmi a casa. Un po’ perché sono stato Vicepresidente di questa organizzazione e un po’ perché le battaglie di Helvetia Latina rappresentano un punto fermo del mio impegno politico, prima in Parlamento e ora in Consiglio federale. Grazie, quindi, per l’invito!

La pluralità di lingue e culture che caratterizza la Svizzera non è solo un fil rouge della mia azione politica, ma anche una delle mie più grandi passioni. È un tema che mi ha accompagnato tutta la vita: come studente di medicina a Zurigo, come medico e ricercatore a Losanna, come insegnante in alcune Università, e in Ticino come medico cantonale.

In Svizzera, Paese fondato sulla volontà di vivere insieme, le quattro lingue nazionali sono il collante di un mosaico composto di 26 Cantoni. Nessuna regione linguistica avrebbe ragion d’essere senza le altre. Spero di non sconvolgere nessuno dicendo che, pur essendo nettamente maggioritaria rispetto ai Cantoni di lingua italiana e francese, la Svizzera tedesca sarebbe probabilmente una regione tedesca, senza le altre regioni linguistiche. Lo stesso vale per la Svizzera romanda, che sarebbe un dipartimento francese, e ancor più per il Ticino, che è praticamente un’enclave in territorio italiano. La Svizzera è il risultato dell’unione e del dialogo continuo tra tutte queste componenti.

Esistiamo come Paese gli uni grazie agli altri, traiamo profitto e ricchezza gli uni dagli altri. Non è solo una questione linguistica, o culturale; non è nemmeno un mito appassito o un patriottismo vecchio stile. È il nostro DNA. La Svizzera è il prodotto della relazione tra lingue, culture, religioni e correnti di pensiero diverse. Una situazione certamente complessa, quasi anomala. Ma nel corso dei secoli siamo riusciti a farne un modello politico di successo. 

La pluralità, signore e signori, rappresenta sempre una sfida. Richiede pazienza e impegno continuo. Pluralità significa sapersi mettere nei panni degli altri in tutte le circostanze. Significa rinunciare a qualcosa per ottenerne un’altra in cambio. Lo sperimentiamo tutti periodicamente, soprattutto chi fa parte di una minoranza. È così anche per il nostro Paese, che deve continuamente riaffermare la sua identità composita e la sua vocazione al dialogo, sia in Svizzera che sulla scena internazionale.

L’unione di queste diverse lingue, culture e opinioni non è scontata. È un continuo atto di volontà, ribadito di volta in volta, di crisi in crisi, nel corso della storia. Possiamo distinguere quattro diverse fasi.

• All’inizio, ciò che ci ha uniti è stata la nostra volontà di rimanere indipendenti dalle potenze vicine. La diversità linguistica era un dato di fatto, quasi un danno collaterale a cui dover rimediare in maniera pragmatica, ricorrendo ai traduttori e creando un Governo che rappresentasse le diverse comunità linguistiche. Il potere centrale doveva essere ridotto alla sua minima espressione per garantire l’autonomia di tutte le regioni. Nel 1849 l’Amministrazione federale era costituita da appena una ventina di autorità e funzionari. Oggi impiega 37 000 persone, mentre il Governo federale, che opera secondo il principio della concordanza, è formato ancora da soli sette membri.

• Nel secolo scorso la pluralità del Paese divenne, assieme alla neutralità, alla democrazia diretta e al federalismo, uno dei simboli identitari con cui rinsaldare riserrare la coesione messa alla prova dalle guerre. Mi piace sottolineare questo aspetto, perché è unico: ciò che ci unisce sono le istituzioni! Un momento forte di questa presa di coscienza fu il riconoscimento popolare della nostra quarta lingua nazionale, il romancio, alla vigilia della seconda guerra mondiale: praticamente un plebiscito, se si pensa che il 91,6% della popolazione si disse favorevole.

• Questo graduale processo psicologico e sociale si tradusse – ed è la terza fase – nella codificazione della pluralità, progressivamente regolata nella Costituzione (la revisione dell’articolo sulle lingue nel 1996) e nelle leggi (la Legge sulle lingue del 2007).

• Oggi siamo entrati in una nuova fase. Siamo nell’epoca della velocità, delle opinioni sempre più urlate, delle dinamiche sempre più centrifughe. Le crisi globali, come l’attuale pandemia, creano divisioni all’interno delle famiglie e delle nazioni. Il posizionamento del nostro Paese nel continente europeo è testimonianza di una dinamica simile.

Una volta di più ce ne rendiamo conto: non basta che la pluralità sia codificata. La pluralità deve essere vissuta e costantemente rinnovata. È in gioco, come sempre, la nostra libertà. Solo riaffermando la nostra interdipendenza, il rispetto di ogni opinione e sensibilità, la ricerca del compromesso, possiamo capire meglio chi siamo e come vogliamo costruire assieme il nostro futuro.    

Helvetia Latina è dunque alle prese con una questione non solo linguistica o culturale. Difendere e promuovere tutte le nostre culture significa riaffermare la nostra ragion d’essere. È un principio che cerco di applicare ogni giorno. Consentitemi di fornirvi alcuni esempi.

L’impegno di ogni giorno

Iniziamo dalla componente più piccola della Svizzera, e anche la più antica: la cultura romancia. Vi ho parlato della pluralità come passione, come spinta a voler imparare. Per me questo significa avvicinarmi alla lingua e alla cultura che meno conosco. Ho quindi voluto creare una Settimana della lingua romancia – una «Emna rumantscha» – in collaborazione con il Cantone dei Grigioni e con la Lia rumancia. Analogamente alla «Settimana della lingua italiana» e alla «Semaine de la langue française», questo appuntamento annuale ci permette di promuovere la nostra identità composita, in Svizzera e all’estero, tramite le nostre rappresentanze.
    
Il DFAE, insieme al Cantone Ticino e al Cantone dei Grigioni, ha istituito il programma «Piccolo Erasmus», che offre al personale delle tre amministrazioni la possibilità di effettuare uno scambio di alcuni mesi dall’Amministrazione federale a un ente cantonale, o viceversa. Queste persone potranno così sperimentare concretamente la diversità del Paese, migliorando le loro competenze linguistiche e uscendo dalla loro zona di comfort. Stiamo già raccogliendo le domande di partecipazione e ci auguriamo di dare il via agli scambi l’anno prossimo.

Sempre all’interno del nostro Dipartimento abbiamo svolto diverse azioni, anche grazie al supporto della Delegata federale al plurilinguismo: ad esempio ho voluto regalare a tutti i miei collaboratori il libro di Nicole Bandion Quattro piccioni con una fava, che indaga in modo scherzoso le differenze tra i modi di dire delle quattro regioni linguistiche: per esempio, per dire che qualcosa non ci riguarda, io parlo di cavoli («non sono cavoli nostri»), i consiglieri federali Berset e Parmelin di cipolle («c’est pas nos oignons»), mentre le consigliere federali Amherd, Keller-Sutter e Sommaruga e il consigliere federale Maurer tirano in ballo la birra («das ist nicht unser Bier»). Una pluralità che, come vedete, è anche culinaria!

Vorrei anche menzionare che il prossimo settembre tutti gli apprendisti del DFAE trascorreranno una settimana in Ticino. Sono poi particolarmente contento che, in un dipartimento dove la lingua tedesca e quella francese sono già molto presenti, negli ultimi anni sia raddoppiata la partecipazione ai corsi di italiano.

In Consiglio federale sono particolarmente attento alla rappresentanza equilibrata delle comunità linguistiche nelle istituzioni parastatali e nelle commissioni extraparlamentari. È una battaglia a lungo termine che mi sta a cuore. Ancora troppo spesso questo equilibrio non è rispettato, soprattutto nei confronti della comunità italofona.

Ci è stato anche possibile ottenere che d’ora innanzi tutti i rapporti derivati da postulati di parlamentari italofoni siano scritti o tradotti anche in italiano: sembra quasi impossibile… ma finora non era il caso!

Permettetemi di concludere con un esempio felice: grazie alla collaborazione con il mio collega Guy Parmelin, d’ora in avanti la formazione per gli apprendisti di commercio integrerà sempre due lingue nazionali. Il progetto iniziale ne prevedeva una sola, a discapito soprattutto del francese.

Infatti, sebbene sia la prima lingua minoritaria in Svizzera, il francese sta perdendo terreno a causa della concorrenza dell’inglese. Concorrenza che si fa sentire non solo in Svizzera, ma anche all’estero, dove il francese sta retrocedendo nelle organizzazioni internazionali. Noi Svizzeri siamo dunque doppiamente chiamati a frenare questa tendenza: non certo lottando contro l’inglese, ma moltiplicando gli sforzi affinché i nostri giovani imparino anche le lingue nazionali e incoraggiando l’uso della lingua francese sulla scena internazionale.

La pluralità come fonte di innovazione

Signore e signori
Vi ho fatto alcuni esempi, piccoli o grandi a seconda delle sensibilità. Ma credo che sia attraverso questo impegno quotidiano che possiamo dare una mano a riaffermare la nostra identità, e quindi a reinterpretarla e innovarla continuamente.

Perché le migliori idee nascono sempre dall’incontro tra culture diverse. Non è forse un caso che il nostro Paese, che si distingue per la sua pluralità, figuri anche tra i primi al mondo in materia di innovazione.

Vi ringrazio per l’attenzione.


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Ultima modifica 29.01.2022

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